Una riflessione collettiva riguardo alle accuse di sessismo che ci hanno rivolto

Questo comunicato vuole essere una prima risposta a seguito delle gravi vicende che ci hanno visto coinvolt*, vicende che hanno avuto una risonanza cittadina e nazionale. Esce dopo due settimane dalla fine del Festival di Letteratura Sociale perché abbiamo sentito l’esigenza di un confronto profondo che rompesse le dinamiche da social network, ed è un documento scritto a più mani perché frutto di un’assemblea composita, caratteristica essenziale della Polveriera Spazio Comune.
 
La mattina del 27 maggio, data di apertura del 6° Festival della Letteratura Sociale organizzato negli spazi della Polveriera Spazio Comune, il collettivo NUDM Firenze pubblica un comunicato su Facebook in cui ci accusa di esserci rifiutat*  “di gestire un pesantissimo episodio di violenza machista avvenuto per mano di un così detto compagno della sua assemblea” e di voler nascondere sotto il tappeto, minimizzare o silenziare la vicenda. 
Il giorno stesso decidiamo così di annullare parte del programma e di indire un’assemblea aperta al fine di promuovere un dibattito pubblico il più inclusivo possibile. Il confronto con NUDM Firenze, e la Magnifica che si associa alle sue posizioni, è aspro e le accuse diventano ben più gravi di quelle scritte nel post. Per completare il quadro, nei giorni successivi riceviamo diverse rinunce da parte di espositrici, case editrici e relatrici; alcune affermano apertamente di essere state intimate a disdire la propria presenza.
Nonostante questo, lo spazio viene attraversato da molt* compagn*, realtà e individualità che vengono a portarci aiuto e solidarietà: ciò permette al festival di andare avanti, ospitando importanti momenti di discussione e approfondimento anche sul tema della violenza di genere.
 
All’origine dell’attacco c’è una vicenda che, per sommi capi, può essere così riassunta. Circa un anno fa una persona che a fasi alterne ha fatto parte dell‘assemblea Polveriera viene accusata dalla sua ex partner di aver tenuto, al di fuori dello spazio comune, comportamenti violenti. In un primo momento alcune individualità intervengono per allontanare la persona che ha agito violenza e per impedire che avvenga da lì in poi ogni tipo di contatto tra i due. Per qualche giorno ci sono rapporti diretti fra le persone loro vicine. Presto si palesa l’impossibilità di gestire una problematica che coinvolge dinamiche di movimento attraverso singoli, e viene così convocata un’assemblea tra varie realtà a livello cittadino, tra le quali NUDM Firenze e la Magnifica. Dopodiché, nonostante laccordo di rincontrarsi a settembre per continuare la discussione, non vengono rinnovati gli intenti.
 
Al di là dei vari passaggi, la nostra posizione è sempre stata questa: a partire dalla condanna senza sfumature della violenza, mettere in sicurezza chi la subisce e non limitarsi alle condanne senza appello per chi la agisce.
Proviamo ad approfondire… Crediamo che affrontare la questione di genere senza prendere in considerazione a monte la questione del ruolo significhi avere una visione parziale e miope dell’intero dibattito. Il ruolo del dominante, del prevaricatore, perfino del carnefice è, nel corso della Storia, giustamente e inconfutabilmente attribuibile alle individualità maschili (la costituzione stessa del concetto di patriarcato, la sua riproduzione e messa in atto societaria in qualsiasi luogo e momento). Così come è chiaro che le individualità femminili siano state relegate automaticamente nel ruolo della vittima, essendolo di fatto. Con questo presente però, la presa di coscienza e quindi lo sviluppo del dibattito stesso dovrebbe andare nella direzione del riconoscimento di quei meccanismi di natura patriarcale da noi tutt* più o meno introiettati allinterno della famiglia e della società e che dovremmo puntare a disinnescare attraverso lacquisizione di nuovi strumenti. Questi meccanismi hanno varia natura e forma, ma tutti fanno leva sul concetto di ruolo e del potere che da esso deriva. Se si nasce in un genere individuato come femminile e lo si accetta, allora si crescerà  assumendo dalla società una serie di stimoli che tenderanno a determinare il ruolo; stessa cosa per il maschile. Come sappiamo, chi non si riconosce poi in questo binarismo subirà su di sé una serie ancora più grande e violenta di imposizioni. 
Acquisire gli strumenti per liberarsi dal ruolo che la società più o meno direttamente ci impone è un lavoro difficile e continuo che dovrebbe mettere in discussione le fondamenta stesse del genere attribuito. Anche il non binario, la donna, o qualsiasi altra individualità lgbtq+ può assumere il ruolo del prevaricatore e non solo quello della vittima, perché nel farlo sta riproducendo nient’altro che un esercizio di potere insito in quei meccanismi introiettati e non ancora consapevolmente eliminati. Se si parte dallassunto che la donna o lindividualità lgbtq+ non possa esercitare nessun altro ruolo che quello della vittima e sia incapace per sua stessa natura di riprodurre invece ruolo di prevaricazione o dominanza (ruoli “maschili”), si limita enormemente la possibilità di riconoscere e scavalcare il problema alla base, cioè quello del ruolo e del potere. Non solo, ma si resta attaccati, paradossalmente, al concetto di genere in maniera estremamente patriarcale ed eteronormata.
Pare un concetto semplice ma la sua messa in discussione è fondamentale e nel farlo non si toglie NULLA alla realtà della condizione femminile delle lotte affrontate nei secoli, anzi se ne rafforza la sua natura intersezionale
Quindi bisogna affrontare la questione di genere assieme alla questione di ruolo utilizzando il concetto centrale del potere come chiave di lettura.
NUDM Firenze e la Magnifica negano la capacità di certe categorie di essere prevaricatric* o violent* se non per legittima difesa o per quella che chiamano violenza giustificata. Mettendo davanti la questione di genere e non di ruolo, e la sacralità inconfutabile e strumentalizzata del sorellaticredo, rendono  impossibile ogni altra forma di approccio alla questione, ricattando così chiunque ci provi con lo stigma del maschilista, di matrice patriarcale o addirittura di complice e occultatore di stupri. Questo anche se a farlo sono individualità attive nel dibattito e nella realtà della lotta transfemminista, ma che non assumendo le loro stesse pratiche non esercitano a parer loro un transfemminismo giusto o etichettabile come tale, e si arrogano il diritto di giudicare in maniera esterna e superficiale se i percorsi e le pratiche intraprese da altre individualità o realtà sono corrette o efficaci, basando le valutazioni su quelli che secondo loro dovrebbero essere criteri universali, nei tempi e nei modi che loro ritengono sufficienti.
Nel caso in questione, NUDM Firenze ha utilizzato e strumentalizzato il solo metro di misura dellincolumità della vittima che, se in un primo momento è sicuramente funzionale (e fondamentale), almeno in questo caso è divenuto nel tempo un parametro labile e arbitrario in mano a chi si voleva e vuole tuttora legittimare politicamente attraverso questa vicenda.
In questo modo non ha fatto che riprodurre le dinamiche di potere che dichiara di voler combattere.
Sulla base di questa sintesi, che noi riteniamo fondante, stiamo costruendo le nostre pratiche.
In quanto comunità e non tribunale, non ci sentiamo chiamate a giudicare o valutare ma ad intervenire per cercare di ricucire le ferite inferte al nostro tessuto sociale. Ne consegue che, sospendendo il giudizio, quella che si apre è la ricerca delle cause e di una via percorribile che possa risolvere il conflitto alla radice.
Ora, quando come spazio si è cercato di individuare alla radice le cause di un atto violento, abbiamo capito che non basta imputarle totalmente a un capro espiatorio liberandosi di ogni responsabilità, ed è per questo che abbiamo sentito il bisogno di confrontarci su due piani paralleli, che comprendono la critica a quanto agito dal singolo e l’autocritica di quanto fatto da noi stesse. Ovvio, non pensiamo di rappresentare l’intera realtà e conosciamo molto bene le strutture di oppressione violenta su cui si fondano i dispositivi che governano il mondo. Quello che sappiamo, però, è che la nostra comunità, autogovernata, è l’unica realtà su cui possiamo realmente agire.
Mantenere questo principio di autocritica non è semplicemente una questione etica ma anche un principio vitale nel senso stretto del termine. 
Un principio per il quale solo chi è in grado di raccogliere i feedback dall’esterno può ricercare nuovi equilibri, adattarsi e divenire altro da sé.
Ovvio che un’identità in mutamento non sia efficace nei meccanismi di brandizzazione ideologica, nella fidelizzazione sindacal-corporativa, nella narrazione bidimensionale e fulminea dei social media, ma a noi questo non interessa perché non ci siamo lanciate in una guerra di conquista, non abbiamo intenzioni egemoniche e soprattutto perché i meccanismi competitivi sono quanto di più lontano dai nostri principi.
Alla nostra comunità non servono i cori di una tifoseria o la visibilità passeggera. Servono compagne e compagni di cammino. Per questo la nostra identità è cangiante e fluida, per questo vogliamo mantenerla tale, perché rimanga transitabile, accogliente e plasmabile da tutt*.
Insomma, la nostra comunità non è una bandiera. Non basta sventolarla, bisogna viverla per comprenderne i processi in atto. Perciò scusateci se la nostra autonarrazione è carente.
Noi non siamo un museo. Siamo una comunità che si è fatta laboratorio di pratiche collettive, che produce cultura intesa come modi di vita, e dunque convivenza. 
Proprio per questa identità costitutiva siamo esposte all’errore e alla critica. Perché non si può imparare senza provare o provare senza sbagliare. Questo lo accettiamo da sempre, cercando di affinare i nostri strumenti con gli errori che disseminiamo.
Per questo abbiamo adottato un approccio inedito nei confronti di una tematica che nel tempo ha toccato tutti gli spazi e le cui manifestazioni finora non sono state in genere sanzionate né tantomeno discusse (se non negli ambienti contro-esclusivi del femminismo), anzi semmai ignorate in quanto spesso ritenute attinenti alla sfera privata. E’ andata in questa direzione la decisione di continuare ad approfondire questi temi dedicando un giorno alla settimana per incontrarci, leggere e ripubblicare testi, discuterne insieme e modificare, sulla base di ciò, le nostre stesse pratiche assembleari; come quella di avviare un percorso di confronto e dibattito assieme ad un’altra realtà del territorio, aperto comunque a tutt*, sempre sulle tematiche di sessismo e decostruzione del patriarcato. L’idea di fondo è quella di muoversi su due linee di percorso: una che fa capo ad una diffusa riflessione critica e autocritica per quanto riguarda la violenza di genere e le sue manifestazioni anche in (o a lato di) contesti antagonisti; l’altra che, coinvolgendo le persone interessate, prova ad innescare dei processi di crescita.
Ci è infatti chiaro che limitarsi alla condanna e a un’eventuale sanzione più o meno drastica, di per sé non interdice la riproduzione del fenomeno e ci appare un intervento, oggi come allora, del tutto inadeguato. Per non parlare dell’evidenza che si tratta di una prassi meramente repressiva e in quanto tale appartenente alla cultura politica di quel potere che si afferma di voler contrastare. 
Riteniamo che sia proprio questo il punto di rottura che ha portato al boicottaggio del festival.
Quell’azione va infatti in tutt’altra direzione, richiamando una cultura politica che è quella della riproduzione di una prassi che più tradizionalista e maschilista non si può, basata sull’ideologia identitaria e sullo schieramento di sigla, sui processi sommari e sugli autodafé, sull’utilizzo privilegiato di canali pseudo-comunicativi come quelli social, utili soltanto alla polarizzazione delle posizioni e alla loro semplificazione. A nostro parere, dalla pratica di NUDM Firenze e Magnifica emerge una concezione del ruolo e degli obiettivi di un’organizzazione politica che privilegia aspetti sindacal-corporativi e che si traduce nell’auto-conferimento della rappresentanza di una certa categoria sociale e dei suoi interessi. Con la paradossale conseguenza che diviene essenziale la competizione con coloro che nel panorama politico appaiono meno distanti in termini di valori e di finalità, proprio perché insistono sullo stesso “bacino d’utenza” politico-culturale, costituendo in tal modo i concorrenti più diretti. 
Si capisce, allora, perché si preferisca contestare il festival ospitato dalla Polveriera, mentre si siano ignorati i precedenti sforzi e proposte sul tema da parte di questa realtà. Così come si capisce perché si siano lasciati cadere gli inviti a costruire percorsi e modalità in grado di affrontare il problema delle violenze di genere, al di là delle mere condanne e dei semplici ostracismi.
Tuttavia, la vera ragione che ci porta a mettere in risalto quelli che si confermano i limiti patriarcali di un certo femminismo non risiede nella volontà di stabilire graduatorie di merito antagonista tra un “noi” e un “loro”. Semmai in quella di definire meglio la diversità di approccio al ruolo e all’intervento politico che marca le rispettive esperienze.
In quest’ottica, ribadiamo la traccia che Polveriera intende continuare a seguire in occasione di episodi di violenza (non solo) di genere. Traccia che trova la sua origine in numerosi passaggi nel corso degli anni, tra i quali dare spazio a collettivi ed esperienze transfemministe e alle loro iniziative tra cui proprio NUDM Firenze così come altre. 
A questo proposito, siamo favorevoli a un confronto tra le varie realtà, il cui obiettivo sia quello di far progredire il dibattito su questi temi e di sperimentare pratiche che superino le soluzioni semplificatrici della mera solidarietà da una parte e dello stigma sociale dall’altra.