DIARIO DI BORDO: 23 maggio

La polveriera è occupata da quasi un mese.

Il 23 giugno, data di inaugurazione della mostra di arte calligrafica di Chen Wei, festeggeremo il nostro complimese. Sembra nulla se pensiamo al tempo passato ad esplorare le stanze lacerate da lavori incompleti e dallo scorrere del tempo, ad immaginare ognuno in testa propria cosa potessero accogliere, a discutere dell’impraticabilità di un occupazione e poi comunque a teorizzare i modi e le probabili conseguenze. È invece molto se proviamo a confrontarla con altre occupazioni, soprattutto se al di fuori dei locali universitari. Penso a Luna Distro, occupazione lampo in quel delle Cure, durata meno di quarantottore con tanto di sgombero notturno e denunce per i presenti. Oppure lo Spazio di Novoli, un aula che fu murata piuttosto che vederla in mano a degli studenti ”antagonisti”. Negli ultimi anni occupare dei locali cosi centrali ed in un plesso cosi imponente sembrava fantascienza, ma la fantasia non ci manca.
Abbiamo avuto coraggio, abbiamo scelto di puntare tutto su una  data, il 23 maggio, da collocare all’interno di una più ampia campagna sugli spazi (Facciamoci Spazio), che a noi sembrava ovvia, ripetitiva, inefficace e nella quale ci è parso che neanche gli stessi organizzatori credessero, e che comunque ha portato i suoi preziosi frutti.
Noi abbiamo pensato in grande. Non lo diciamo per vantare meriti alcuni: è stato sconsiderato come gesto, ma abbiamo fatto bene. Ed abbiamo vinto la scommessa: l’iniziativa è stata un successo, l’occupazione ha portato decine di persone ad interessarsi allo spazio materiale e al progetto che rappresentava. Non dobbiamo negarcelo: l’intuizione è stata premiata. Ma la fortuna non fa che la metà della parte, e come dobbiamo guardarci indietro per imparare dai nostri errori e dalle buone pratiche, così è fondamentale capire come muoverci da qui in avanti, perché adesso la fortuna lascia lo spazio alle nostre capacità. Capacità politiche prima di tutto. 
Già, perché che lo vogliamo o no adesso si tratta di farsi i muscoli per il braccio di ferro con l’istituzione e con la società che ci circonda se vogliamo costruire una Polveriera che sia davvero esplosiva e non un fuoco di paglia o, ancora peggio, polvere da sparo bagnata. Fare cilecca adesso sarebbe drammatico: non sono passate ere geologiche da quando un collettivo composto per lo più da studenti ha visto sei dei suoi militanti finire agli arresti domiciliare per associazione a delinquere (e ben 90 persone sono state coinvolte nelle indagini fra coloro i quali frequentavano questi ”delinquenti”) per aver preso parte a manifestazioni studentesche, occupato locali abbandonati dall’università ed altre azioni illegali.
È bene metterselo in testa, stiamo giocando col fuoco ed è meglio imparare al più presto a governarlo.
Innanzitutto ci teniamo a chiarire alcuni aspetti: il primo fra tutti è che abbiamo ragione. Come scritto poco sopra, occupazioni di questo genere non durano molto, e noi siamo ancora qua. Perché? Perché abbiamo ragione, e chi dovrebbe provvedere al nostro sgombero lo sa e ha paura. Ha paura di darci visibilità, dare visibilità alla causa di alcuni studenti e studentesse che hanno occupato un posto che è stato gestito vergognosamente fino a oggi e che è destinato a finire nelle fauci della speculazione. Uno sgombero vorrebbe dire sbattere in prima pagina il degrado di quel chiostro, gli sprechi della regione, coprire di infamia gli articoli apologetici di due anni fa sulla nuova mensa… Ricordate quante sviolinate all’apertura?
Che abbiamo ragione, poi, lo sanno gli altri studenti e studentesse che attraversano la mensa ogni giorno, come anche i lavoratori e le lavoratrici: in molti e molte ce lo dicono ogni volta che si affacciano, che li incontriamo e interagiamo. La frase che si ripete è sempre la stessa: avete fatto bene.
Il secondo aspetto che vogliamo sottolineare è che siamo un gruppo abbastanza eterogeneo da poter essere esplosivo, dobbiamo mettere in comune le nostre conoscenze, i nostri desideri, le nostre energie e farle fruttare per rendere la Polveriera una realtà forte abbastanza per resistere e per essere rivoluzionaria. Non è retorica: perché se abbiamo voluto fare parte di un gruppo del genere invece di dialogare solo con chi la pensa ”quasi” come noi è perché siamo convinti che si possa invertire il modo di guardarsi più diffuso, quello che mette in risalto le differenze per affermare la singolarità. Si possono mettere in gioco le proprie opinioni e scoprirle diverse da quando si è iniziato a dialogare, e non solo si può, ma è il modo migliore di arricchirsi senza impoverire il prossimo: conversare, confrontarsi, collaborare e cooperare.
Su questo aspetto finora ci siamo spesso dilungati e dimostrati concordi. Vorremmo dunque passare al terzo e fondamentale aspetto: i contenuti.
I contenuti non sono oggetto separato dal contenitore. Chiamateli come volete, ma se vogliamo parlare di contenuti dobbiamo parlare del posto dove siamo seduti. Perché che la polveriera sia uno spazio pubblico preda della burocrazia statale e della fame di profitto di questo sistema capitalista non è aria fritta, non sono parole vuote. È uno spazio sottratto al profitto dove poter mettere in pratica forme di resistenza al dominio del profitto. Pratiche di auto-organizzazione contro la crisi, contro la dequalificazione dei saperi e contro la mercificazione. Vi sembra poco?, e poi? E poi è uno spazio pubblico frequentato da chi vive nel quartiere: chi porta il cane a pisciare, chi si prende il fresco, chi ci passa i pomeriggi dopo la scuola, e chi (ahinoi questo è un quartiere segnato anche da questo) cerca un luogo tranquillo dove consumare eroina. Stiamo parlando di dati oggettivi e allo stesso tempo da una cornice di concetti che permiano dalle pareti e che dobbiamo essere in grado di intessere.
L’ambiente che ci circonda ci coinvolge soprattutto adesso che delle telecamere campeggiano dalle nostre teste, e che ci siano per colpa nostra o delle ”frequentazioni promiscue”, resta il fatto che ci sono, e il loro scopo è inquadrare chi delinque e fornire prove alle forze dell’ordine. È urgente pensare bene a come risolvere questo problema e a come risolverlo nel modo più produttivo, perché il prossimo passo sarà la chiusura del chiostro ai non iscritti all’università, da un lato rendendolo ancor più abbandonato a se stesso, dall’altro privando il quartiere di uno dei pochi quadrati di verde.
Un modo produttivo perché crediamo che immaginando soluzioni ai vari problemi di Sant’Apollonia noi potremo produrre i contenuti e la ricchezza che ci serve per diventare cambiamento, per rendere i luoghi che viviamo e che ci circondano più simili al loro dover essere.
Queste sono le premesse che ci premeva sottolineare per lanciare a tutte e a tutti una sfida: se vogliamo lasciare un’impronta con questa esperienza dobbiamo occuparci di difenderla dai pericoli che incombono al momento. Lo sgombero e la chiusura del chiostro si risolvono allo stesso modo, e cioè radicandosi nel quartiere, dimostrandosi responsabili e capaci di affrontare anche i problemi più difficili con i valori che ci muovono, organizzando a partire da noi stessi per innescare un circolo virtuoso di partecipazione.
Invitiamo tutte e tutti a riflettere su quanto scritto perché nel secondo mese si passi all’offensiva così da non farsi cogliere impreparati dal nemico, che finora è stato magnanimo lasciandoci tutto il tempo per fare il rodaggio (che ancora non è finito e che forse non finirà mai, in questa rivoluzione permanente), ma che per quanto ci abbia portato a compiere dei passi avanti nella sistemazione del posto e nella costruzione di una rete di relazioni che si stanno saldando è un castello di carte di fronte al potere che stiamo sfidando.
La Polveriera esploderà.