Cara Repubblica,

È il 15 di agosto, ora di pranzo, e probabilmente Andrea Bulleri (Repubblica) sta godendosi il rituale pranzo.
Purtroppo pare che quest’anno abbia deciso di farne pagare il conto a chi – oltre che passare questo bel momento a rispondere alla sequenza di falsità superficiali da lui diffuse – da anni impiega ogni istante di tempo libero per prendersi cura di ciò su cui, per due spiccioli di De Benedetti, da due giorni getta discredito.

È scontato, come dimostrano le tempistiche da calcio mercato della crisi di governo, che l’ozio delle ferie estive riservi particolare successo a qualsiasi polemica che possa accendere le tavolate afose degli italiani.
E dunque in questi giorni ogni buona fonte commerciale di informazione tenta il successo sguinzagliando i suoi precari alla ricerca di scoop.
È così che il giornalismo può occuparsi di “denuncia”, come vanta Bulleri nei suoi articoli.
Si presume che, in una società progredita, chi lavora con le parole ne conosca a fondo il significato, dunque il prode informatore non deve aver scelto a caso un termine indicante il riferire ad autorità competenti fatti che possano essere perseguiti.
Ora, vivendo la contemporaneità, possiamo immaginare che l’autorità competente cui il giornalista si appella altro non sia che la tavolata del suo Ferragosto; altrimenti non si spiegherebbe come mai, per parlare di un processo che si perdura da cinque anni, abbia scelto l’unico momento in cui sia le istituzioni che gli abitanti del luogo sono assenti.

In effetti a noi studenti insegnavano come il giornalismo di qualità si occupasse di inchiesta, ovvero del tentativo di determinare in modo oggettivo lo stato dei fatti ed informarne i lettori.
Ma non è certo questo il termine che si possa apporre all’accozzaglia di parole uscita in due puntate fra ieri e oggi su “la Repubblica Firenze”, giustamente catalogata come cronaca.
Non dovremmo, forse, biasimare il povero cronista che, recatosi sul luogo ne ha raccontato il poco che potesse trovarvi in una giornata centrale di Agosto. È evidente d’altra parte che in quanto persona poco informata sui fatti sarebbe stato più corretto da parte sua occuparsi di raccontare solo ciò che aveva potuto incontrare nel breve sopralluogo di ieri e non esporsi a voler riportare all’intera città processi di lunga durata, con una quantità impressionante di imprecisioni ed errori spesso verificabili con una semplice ricerca via Google.

Non saremo noi, proprio oggi e con un post sui social, a mettere le pezze allo stato in cui versa il giornalismo italiano e nemmeno possiamo permetterci di semplificare la realtà in quattro parole come fanno gli articoli di Repubblica.
La realtà, per quanto lo si possa negare, è un fenomeno estremamente complesso e chi vi agisce concretamente sa come, per descrivere fenomeni sociali, sia necessario un imponente lavoro di analisi delle dinamiche e della loro interazione con il contesto.
Occuparci di rendere disponibile una documentazione accurata di ciò (in aggiunta a quella già disponibile a chiunque nella sezione “documenti” di questo sito) sarà un ulteriore impegno, come sempre volontario e gratuito, che ci assumeremo per poter rendere leggibile quanto accade anche a chi non abbia voglia o tempo di conoscere direttamente l’argomento attraverso la presenza e l’attività dentro e fuori le mura di Sant’Apollonia.

Basti far notare ai lettori una serie indefinita di imprecisioni a cui qui si può fare solo breve cenno.
Ad esempio: la Polveriera nasce nel 2014, come scritto sul blog e sugli altri media disponibili, dunque salvo stranezze matematiche esiste da cinque anni e non due come si legge nell’articolo.
La fonte utilizzata dal reporter dovrebbe ben ricordare tale tempistica, se non altro perché da quella data l’intero DSU ha abdicato ai compiti per cui viene finanziato, come quello di mantenere pulito lo spazio. È abbastanza riprovevole, dopo cinque anni in cui studenti e lavoratori, finiti i propri doveri quotidiani, si occupano di pulire un loggiato cosparso di sporcizia, che siano gli stessi “lavativi” pagati per farlo a denunciarne l’inefficienza. Allo stesso modo verrebbe da chiedersi come mai il loggiato sia stato lasciato nell’oscurità più totale, tanto da spingerci a installare una nostra illuminazione esterna, proprio mentre nel Paese infuria il securitarismo.

Non è nemmeno necessario riferirsi a un tecnico specializzato per immaginare che i contatori di tale illuminazione siano gestiti, anche in questo caso, dalle autorità di cui quei dipendenti fanno parte.
Ad un professionista non dovrebbe risultare difficile nemmeno approfondire le origini di questa strana incongruenza di date e verificare cosa sia effettivamente cambiato nel corso degli ultimi due anni. È presto detto che tale spartiacque coincide esattamente con la chiusura tramite cancello del chiostro di Sant’Apollonia, fortemente osteggiata dalla Polveriera stessa. In quell’occasione uno dei pochi spazi verdi accessibili ad abitanti e studenti venne chiuso ad uso esclusivo delle fondazioni regionali, e la motivazione presentata fu la presenza nello spazio di fenomeni legati allo spaccio e all’uso di droghe. I “proprietari” del plesso pensarono dunque che una buona soluzione fosse chiudere il chiostro riversando la marginalità nel loggiato superiore. È questo uno scaricabarile ormai noto a tutti, per cui invece di affrontare il fatto che la turistificazione galoppante stia circondando il quartiere e riversandone la marginalità nello spazio protetto di Santa Apollonia, si preferisce lavarsene le mani scaricando il problema su qualcun altro. In questo caso le fondazioni lo delegarono al DSU che gestisce il piano superiore, il quale a sua volta pensò bene di fare altrettanto nei confronti dello spazio autogestito.
L’unico inceppo in questa catena di ignavia è stato l’approccio responsabile della Polveriera, che invece di volersi accanire sui più deboli ha tentato con tutte le energie di costruire percorsi che potessero andare a incidere sulla situazione. È così che l’assemblea ha collaborato innumerevoli volte con la cooperativa CAT, che si occupa anche per il comune di riduzione del danno, è così che i bagni della mensa sono stati vigilati sino a notte per evitare il consumo di eroina e che sono stati da noi sistemati con pannellature (nb di legno a vista, non cartongesso) per evitare che i consumatori potessero accedere a locali abbandonati, dove eventualmente morire di overdose.
Ma soprattutto è così che giorno dopo giorno chi ha vissuto questi spazi si è occupato di conoscere una ad una le persone che li frequentavano, di risolverne i conflitti, di allontanare i ragazzi dagli spacciatori con corsi di musica o quant’altro fosse possibile. Perché ad abitare il loggiato non sono “sbandati” ma persone, molte delle quali dovrebbero coincidere con i giovani che sono “il nostro futuro” come ripete il mantra dei repubblichini. Bene, quel futuro è lasciato davanti al degrado assoluto che non riguarda i muri di Sant’Apollonia ma la società tutta, le sue istituzioni e il loro futuro, in grado solo di spingere i propri figli verso droga e marginalità, per poi lavarsi la coscienza con la repressione poliziesca.

Si potrebbe continuare così, parola per parola, a parafrasare l’intera opera ma non riteniamo che questo possa giovare a nessuno. Basti sapere che se Bulleri volesse comporre qualcosa di degnamente giornalistico avrebbe tutta la nostra disponibilità a fornire interviste e informazioni, come ogni controparte dovrebbe poter fare.
Come nota ironica vogliamo anche ricordare che, a onor del vero, lo stesso giornalista ha già intervistato membri della Polveriera, che in quel caso erano presentati in forma angelica per stare portando progetti di solidarietà sanitaria in Siria. Quei progetti che vengono costruiti in spazi come il nostro non possono però esserne scissi quando il Ferragosto impone un tono più scandalistico. Ma soprattutto questo fa capire come il giornalista non avesse alcun impedimento ad alzare la cornetta e parlare con i diretti interessati.

Ovviamente ciò che preoccupa non sono due pagine sul giornale locale che, per quanto il cronista possa ritenere rilevanti, non hanno avviato il processo partecipato di Sant’Apollonia già in elaborazione da anni con bandi e tavoli fra Regione e Polveriera.
Ciò che realmente desta preoccupazione è come il quarto potere si occupi anche in questo caso di fare alzare il vespaio dell’opinione pubblica salviniana per spingere a interventi repressivi proprio all’avvicinarsi della campagna elettorale.
Noi non è a questo che ci dedichiamo, non siamo né seminatori d’odio né raccoglitori di consensi, siamo qui per agire in prima persona sulla realtà che viviamo e costruirne assieme una migliore.
A chi invoca l’intervento armato, la repressione e la chiusura daremo risposta solo con la difesa di quanto abbiamo fatto sin qui e soprattutto delle modalità con cui ciò è stato reso possibile.
A chi pretende il Napalm sociale della repressione continueremo a rispondere con la nostra opera di giardinaggio quotidiano, con la certezza che alla fine loro saranno soli fra le ceneri mentre noi raccoglieremo frutti.La Polveriera Spazio Comune
Firenze, lì 15/08/2019
La Polveriera Spazio Comune

 

PS-Ringraziamo per la solidarietà i compagni di Potere al Popolo, che vivono e conoscono gli spazi del centro. Come dimostra l’impegno a rispondere alle accuse lanciateci contro (QUI), la Polveriera non è una realtà sconosciuta dietro un portone chiuso, ma parte integrante di una Firenze che resiste e che non potrà essere liquidata come cronaca estiva.